Impiattamento: vietata l’improvvisazione
Alcuni spunti sull'impiattamento, molto di più di una semplice presentazione
Anche l’occhio vuole la sua parte. Questa è una delle frasi probabilmente più banali, ma senz’altro tra le più diffuse, che raccontano il valore dell’estetica nella percezione di un prodotto o un soggetto. La cucina non è estranea al tema: negli ultimi anni abbiamo assistito a una rivoluzione sostanziale nel modo di presentare piatti e le pietanze.
Talvolta queste correnti sono state guidate da personaggi avanguardisti; pensiamo a Ferran Adrià e a come abbia influenzato l’aspetto del cibo privandolo dei suoi tratti naturali attraverso la tecnica. Talvolta le nuove correnti sono durate un batter d’occhio e provocano sentimenti nostalgici ad alcuni.
Una rivoluzione, quella nell’estetica e nell’impiattamento del cibo, che oggi converrebbe raccontare più come un'evoluzione: ci sono dottrine nuove, gusti che cambiano, abitudini che ritornano, intersezioni culturali, veri e propri sconvolgimenti nelle disposizioni di servizio.
La bellezza è antagonista della sostanza?
Negli ultimi decenni - quelli condizionati dai reality di cucina per intenderci - la ristorazione è stata teatro di partite accesissime: da un lato si sono schierati i sostenitori della sostanza e della semplicità, dall’altro quelli della bellezza e della cura maniacale dell’estetica. Dall’altro ancora c’è chi ha preferito fare sintesi tra bellezza e sostanza, concentrandosi sull’appagamento del cliente, che dovrebbe essere il primo obiettivo di un ristoratore.
Un principio, a nostro avviso, è sbagliato di fondo: ritenere che la bellezza e la cura di un piatto siano antagonisti della sostanza e del gusto.
Si può impiattare con cura e senso estetico anche un bigolo al ragù d’anatra o un baccalà alla vicentina, un pesce arrosto o un piatto di gnocchi fatti in casa. E questo non significa avvalersi di inutili orpelli ed elementi non edibili; zigzagate di glasse, roselline di carote, insalate sgualcite sotto la carne fumante, e via discorrendo, appartengono a tempi lontani. Oggi la cucina intelligente vuole esprimersi al commensale garantendo funzionalità, zero sprechi e naturalmente gusto, a volte anche abbracciando abbinamenti curiosi.
Qualche regola per l’impiattamento
Dicevamo, anche il servizio sta cambiando: con la nouvelle cousine avevamo assistito al passaggio dal servizio alla russa al servizio alla francese, quindi dalle portate sporzionate al tavolo, al piatto destinato a ciascun commensale, decretando l’inizio di una nuova era più minimalista, precisa e pulita.
Nella cucina contemporanea a cosa assistiamo? In alcuni locali si propongono menu degustazione che sono figli di quel metodo, in cui la pietanza è assaggio, in altri spopolano i “piattini da condividere” (con porzioni medie riposte a centro tavola). E poi, naturalmente, si continua con i classici primi, secondi e antipasti, ma tendenzialmente si riducono le quantità per singola porzione.
Qualunque strada perseguiate… ciò che conta è fare le cose con senso, non con improvvisazione.
Come la maggior parte di voi sa, bisogna considerare:
- la scelta della disposizione della pietanza in funzione del suo consumo. Si può scegliere una disposizione in orizzontale o in altezza, dipende dal cibo che state servendo. Se si mira all’effetto stratificato allora si compone in altezza. Se l’intenzione è proporre un orologio di sapori, e si desidera lasciare al cliente la possibilità di abbinare gli elementi del piatto a piacimento, allora meglio in orizzontale. Non dimenticate mai che la degustazione e l’assaggio di un piatto dipendono dalla sua forma!
- la temperatura di servizio: se l’intenzione è proporre un gioco di temperature (caldo- freddo), le scelte di impiattamento fanno la differenza. A tal proposito, un’osservazione: molti cuochi attenti all’impiattamento lasciano sostare il piatto sul pass troppo tempo. Meglio scegliere le strategie di ‘abbellimento’ con il giusto anticipo, preferendo metodi brevi e di facile applicazione. Le lampade riscaldanti aiutano… ma non ce ne si può approfittare a lungo!
- cromaticità: i colori hanno un senso e raccontano benissimo la stagionalità del cibo. Non significa che ci si debba concentrare esclusivamente sull’armonia cromatica, ma ad esempio che si debba diporre gli ingredienti in modo da risaltarne i colori. Lo stesso vale per la cottura: far brillare il verde di un’erbetta, dei fagiolini o dei piselli, attraverso lo shock termico, è un’accortezza che cambia molto la percezione del piatto!
È altrettanto importante scegliere i piatti (per colore e forma) che esaltano i toni più sgargianti, preferendo fondi scuri a pietanze chiare e viceversa.
- Il topping e il dressing sono elementi caratterizzanti… e non devono ripetersi nel menu. Può capitare di incontrare nel menu di un ristorante piatti che presentano gli stessi dressing, le stesse spezie, o le stesse erbe aromatiche: questi elementi sono veri e propri ingredienti, contribuiscono al gusto e all’equilibrio di un piatto… è bene non utilizzarli come puro elemento decorativo. Lo stile, in una cucina, si misura su altri termini!
- la bellezza ha un costo. Il tempo che si dedica all’impiattamento e gli ingredienti che si utilizzano per valorizzare esteticamente il piatto, hanno dei costi per la cucina. È indispensabile misurare questi costi e tenerne conto: a volte le soluzioni più semplici e più efficaci sono anche le più economiche!
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